Una recente sentenza del TAR Sicilia (n. 989/2025) riporta l’attenzione su un tema tanto tecnico quanto centrale nel mondo dell’edilizia urbana: la corretta interpretazione degli indici di edificabilità e la tutela dei tessuti urbani storici. Al centro del caso, la richiesta di autorizzazione edilizia per un intervento di ristrutturazione con aumento di volumetria su un lotto edificato nella città di Palermo, in zona classificata come Netto Storico.

Il progetto prevedeva la realizzazione di due nuove unità abitative e un garage, sfruttando – secondo il proponente – anche l’area del cortile condominiale per aumentare la volumetria consentita. Ma il Comune ha respinto la richiesta, evidenziando più di una criticità: dal superamento del limite di densità fondiaria, alla violazione dei limiti di altezza, fino alle regole speciali previste per gli edifici storici.

Il ricorso al TAR non ha portato l’esito sperato: i giudici hanno confermato la validità del diniego comunale, con una motivazione che tocca uno dei principi cardine del diritto urbanistico.

Quando si può davvero aumentare la volumetria di un edificio? Quali sono i limiti nei centri storici? E cosa succede se si sbaglia il calcolo delle superfici edificabili?

Advertisement - Pubblicità

Il progetto edilizio bocciato: più volumetria sfruttando il cortile?

Il progetto presentato all’ufficio tecnico del Comune riguardava un immobile già esistente, sito al piano terra di una zona urbana consolidata. L’obiettivo era ambizioso: trasformare e ampliare l’edificio per ricavare due nuove unità immobiliari ad uso abitativo, con annesso garage, attraverso un intervento di ristrutturazione edilizia con incremento di volumetria.

Tuttavia, la proposta è stata respinta con un provvedimento motivato da quattro rilievi sostanziali:

  1. Superamento dell’indice di densità fondiaria previsto dal Piano Regolatore Generale per il lotto interessato;
  2. Classificazione urbanistica dell’area come “Netto Storico”, che impone forti limitazioni agli interventi di demolizione e ricostruzione;
  3. Violazione dei limiti di altezza dei fabbricati nella zona interessata;
  4. Incompleta documentazione allegata all’istanza.

Il nodo centrale, però, riguardava l’interpretazione del primo punto: secondo il proponente, l’area del cortile condominiale avrebbe dovuto essere inclusa nel calcolo della volumetria edificabile, in quanto parte integrante e pertinenziale del lotto. Ma per il Comune questa lettura era errata: il cortile non è superficie utile per determinare nuovi volumi, e l’intervento richiesto avrebbe superato i limiti normativi previsti.

Leggi anche: Parcheggio condominiale: niente concessione esclusiva per i parcheggi comuni

Advertisement - Pubblicità

Densità fondiaria: quando il cortile non fa volume

Il cuore della questione – e anche della sentenza – è tutto racchiuso in una parola chiave: densità fondiaria. Si tratta di un parametro urbanistico fondamentale, stabilito dal D.M. 1444/1968, che serve a determinare quanta volumetria si può costruire su un determinato lotto. In questo caso, l’indice applicabile era pari a 5 mc/mq.

Il ricorrente sosteneva che, nel calcolo della volumetria edificabile, si dovesse considerare anche l’area del cortile di pertinenza. Il ragionamento era semplice: essendo uno spazio accessorio e collegato funzionalmente all’edificio, avrebbe dovuto “pesare” nel computo. Ma secondo il TAR – richiamando precedenti del Consiglio di Stato – questa tesi non regge: solo le superfici direttamente edificabili e con funzione di sedime dell’edificio possono essere conteggiate. I cortili, anche se pertinenziali, non concorrono ad aumentare il volume realizzabile.

Il Tribunale ha chiarito che la densità fondiaria va calcolata solo sulla superficie effettivamente edificabile del lotto, escludendo le aree che non possono fungere da base per nuove costruzioni.

Una distinzione sottile ma decisiva, che ha portato alla conferma del provvedimento comunale e, di conseguenza, al rigetto del ricorso.

Advertisement - Pubblicità

Intervenire sul “netto storico”: un vincolo spesso sottovalutato

Uno degli aspetti più delicati del progetto respinto riguardava la sua collocazione all’interno di una zona classificata dal PRG come “Netto Storico”. Si tratta di aree urbane che conservano ancora – almeno parzialmente – la struttura originaria del tessuto edilizio storico, e che per questo motivo sono oggetto di tutele particolari in materia di trasformazioni edilizie.

Nel caso analizzato dal TAR, l’amministrazione comunale ha ritenuto inammissibile un intervento di demolizione e ricostruzione su un immobile ricadente in questa tipologia urbanistica. Il ricorrente, dal canto suo, aveva sostenuto che non si trattasse propriamente di una demo-ricostruzione, ma piuttosto di una nuova edificazione parziale, funzionale all’ampliamento volumetrico. Inoltre, aveva sottolineato che lo stato di vetustà dell’edificio ne avrebbe giustificato la sostituzione.

Ma anche su questo punto il TAR ha adottato una linea netta: la disciplina comunale sulle zone di Netto Storico ha un carattere restrittivo e, salvo eccezioni ben documentate (come il pericolo strutturale o il degrado accertato), non consente interventi radicali come quelli previsti dal progetto. Senza una motivazione tecnica e puntuale che giustifichi l’eccezione alla regola, il vincolo prevale.

Advertisement - Pubblicità

Quando basta un solo vizio per dire no: la forza del principio dell’autosufficienza

Anche se il ricorso toccava diversi aspetti (volumetria, vincoli storici, altezze e documentazione), il TAR ha ritenuto di non dover nemmeno entrare nel merito delle altre contestazioni. Il motivo? Un principio giuridico ben consolidato: se uno solo dei motivi di rigetto è fondato, il provvedimento è legittimo e il ricorso può essere respinto interamente.

In parole semplici, se l’amministrazione dimostra che almeno una delle ragioni per cui ha negato il permesso è corretta e fondata sul diritto, le altre eventuali illegittimità perdono di rilevanza. È un principio di economia processuale, ma anche di tutela dell’interesse pubblico: inutile, secondo i giudici, discutere di altezze o di documenti mancanti, se già il calcolo della densità fondiaria bastava a bloccare tutto.

Il TAR richiama su questo punto diverse pronunce del Consiglio di Stato, che ribadiscono come la legittimità di una sola motivazione rende inattaccabile l’intero provvedimento, anche se le altre ragioni eventualmente fossero meno solide. Una lezione importante per chi presenta progetti edilizi borderline: basta un errore nel computo o una forzatura normativa per far naufragare l’intera operazione.