Una sentenza del TAR Lazio chiarisce che, nei progetti per certificati bianchi, la data di prima attivazione può coincidere con l’installazione, non necessariamente con il collaudo.
Nel panorama normativo sempre più complesso delle energie rinnovabili, ottenere i certificati bianchi può rappresentare un passaggio cruciale – ma anche insidioso – per le aziende che investono in impianti ad alta efficienza energetica. È proprio su questo tema che si è espressa di recente la giustizia amministrativa.
Una società operante nel settore dell’efficienza energetica aveva presentato al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) una Richiesta di Verifica e Certificazione (RVC) per accedere agli incentivi previsti. Tuttavia, il GSE ha rigettato la domanda ritenendola fuori termine. A nulla sono valse le obiezioni dell’azienda: secondo il TAR Lazio, la richiesta era effettivamente tardiva.
Al centro della controversia, una questione apparentemente tecnica, ma dalle enormi implicazioni pratiche: da quale data si inizia a calcolare il termine di 180 giorni per presentare la richiesta?
Qual è il momento esatto in cui un progetto si considera “avviato” per la normativa? Conta la data di installazione, quella di collaudo o semplicemente quella della fattura? E se il progetto è composto da più interventi, si può salvare almeno in parte l’incentivo, riformulando la richiesta?
Scopriamolo insieme.
Sommario
Il contenzioso nasce da una richiesta di incentivazione legata a un progetto di efficientamento energetico che prevedeva la realizzazione di più impianti fotovoltaici e l’installazione di collettori solari per la produzione di acqua calda sanitaria. Il progetto, presentato secondo il modello standardizzato previsto dalle Linee Guida EEN 9/11, avrebbe dovuto generare un risparmio energetico netto minimo di 20 tep/anno, soglia necessaria per accedere ai certificati bianchi.
Secondo la ricostruzione fornita dal GSE, uno degli interventi chiave del progetto era già stato avviato al momento dell’emissione della fattura, datata 3 febbraio 2017. Questo elemento è risultato determinante: da quella data, infatti, secondo il GSE, il cliente aveva già iniziato a beneficiare di un risparmio energetico, anche se non formalmente collaudato.
Il Gestore ha quindi calcolato da quel momento il termine di 180 giorni previsto dalla normativa per presentare la Richiesta di Verifica e Certificazione (RVC). La domanda era stata invece presentata ben oltre tale limite temporale.
L’azienda contestava questa lettura, sostenendo che la data corretta per far partire il conteggio fosse quella del collaudo finale dell’impianto, avvenuto il 5 maggio 2017. Ma per il GSE la data di fattura era già sufficiente per considerare l’intervento avviato.
Advertisement - PubblicitàLa società ha impugnato il provvedimento di rigetto sostenendo che il GSE avesse travisato la normativa e omesso una valutazione completa delle prove fornite. Secondo l’azienda, la data rilevante per determinare l’“avvio del progetto” non poteva essere quella della semplice fattura, ma doveva coincidere con la reale “messa in opera” degli impianti, attestata da documenti tecnici come la dichiarazione di conformità, l’installazione fisica e, soprattutto, il collaudo finale.
L’impresa ha fatto leva su una lettura puntuale delle Linee Guida EEN 9/11, secondo cui l’avvio di un progetto si ha solo una volta raggiunta la dimensione minima di risparmio (20 tep/anno) e l’attivazione effettiva degli impianti. Ha inoltre evidenziato che il collaudo certifica in modo inequivocabile che l’impianto è pronto a produrre risparmi energetici e, dunque, dovrebbe essere il riferimento temporale corretto.
Inoltre, la società ha accusato il GSE di non aver motivato adeguatamente il rigetto né di aver risposto alle osservazioni inviate in sede di preavviso di diniego, come invece richiesto dall’art. 10-bis della legge n. 241/1990 sulla trasparenza e partecipazione procedimentale.
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Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 6510/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha respinto il ricorso, dando piena ragione al GSE. Secondo i giudici, la normativa di riferimento non impone che la “data di prima attivazione” di un progetto coincida con il collaudo finale. Anzi, può essere anteriore, purché vi sia una condizione sostanziale: il cliente deve aver iniziato a beneficiare, anche solo potenzialmente, di risparmi energetici.
Nel caso esaminato, la fattura emessa il 3 febbraio 2017 elencava chiaramente la fornitura e installazione dell’impianto, nonché attività di manutenzione, misurazione e rendicontazione. Per il TAR, ciò dimostrava che già a quella data l’unità fisica di riferimento era operativa, e dunque la “prima attivazione” era avvenuta. Di conseguenza, il termine di 180 giorni per presentare la RVC doveva iniziare da quel momento, rendendo tardiva la richiesta dell’azienda.
Il Tribunale ha anche richiamato precedenti sentenze che confermano come i risparmi energetici possano iniziare a maturare anche prima del collaudo, specialmente in progetti articolati dove gli impianti vengono attivati progressivamente.
In sostanza, ciò che conta è l’effettiva attivazione dell’intervento e la sua idoneità a produrre risparmio, non il perfezionamento formale tramite collaudo.
Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti su cui l’azienda aveva puntato in via subordinata era la possibilità di ottenere almeno un accoglimento parziale della richiesta, stralciando l’intervento contestato e salvando così gli altri. Ma anche su questo punto la sentenza n. 6510/2025 è stata netta: nei progetti standardizzati, come quello in esame, la Richiesta di Verifica e Certificazione (RVC) ha carattere unitario e non può essere valutata “a pezzi”.
Il TAR ha richiamato giurisprudenza secondo cui, sebbene in astratto sia ammesso frazionare una domanda per singoli impianti, questo non vale per i progetti standardizzati, a meno che il proponente non presenti una nuova RVC riparametrata sugli interventi da considerare. Nel caso specifico, la società non ha modificato il progetto né ha eliminato formalmente l’intervento problematico: si è limitata a chiedere che fosse escluso, senza riformulare l’istanza nel suo complesso.
Poiché l’intero progetto contribuisce alla determinazione del risparmio energetico atteso, l’eliminazione di un solo elemento richiederebbe una revisione del valore economico complessivo e dei parametri tecnici su cui si fonda la richiesta. In assenza di ciò, il GSE non poteva che rigettare l’intera RVC, senza possibilità di valutarla parzialmente.
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