Un intervento edilizio con lucernari e finestre in centro storico viene bloccato per incompatibilità paesaggistica. Il TAR conferma che anche modifiche minime possono alterare l’identità urbana tutelata.

Semplici lucernari, finestre a tetto pensate per portare luce naturale negli ambienti sottostanti, possono davvero trasformarsi in un problema legale? La risposta è sì, soprattutto quando vengono installati su edifici situati in centri storici tutelati da vincoli paesaggistici.
In un recente caso giudiziario, dieci lucernari e due finestre sono stati al centro di un contenzioso tra una cittadina e le autorità di tutela. L’intervento, pensato per recuperare un sottotetto a fini abitativi, è stato prima autorizzato dal Comune, poi annullato, e infine respinto dalla Soprintendenza e dalla Regione Lazio. Secondo le amministrazioni, quelle aperture, seppur di dimensioni contenute, alteravano l’equilibrio visivo e identitario del paesaggio urbano storico.
Ma quando esattamente un lucernario diventa un problema paesaggistico? E davvero serve un’autorizzazione anche per un’apertura discreta sul tetto? Questa vicenda giudiziaria aiuta a rispondere a domande sempre più attuali per chi vive o vuole ristrutturare in contesti storici.
Scopriamo insieme cosa ha deciso il TAR e perché oggi, più che mai, anche una finestra sul cielo può diventare una questione di diritto.
Sommario
Possono dieci lucernari e due finestre trasformarsi in un caso legale complesso e arrivare al vaglio di un tribunale amministrativo? Sì, se quell’immobile si trova in un centro storico vincolato e sottoposto a tutela paesaggistica. È quanto accaduto in un comune del Lazio, dove la proprietaria di un edificio ha cercato di regolarizzare delle aperture realizzate sul tetto e sulla facciata, finalizzate a rendere abitabili i locali del sottotetto.
Il progetto, inizialmente autorizzato dal Comune, prevedeva l’inserimento di lucernari e finestre per garantire ventilazione e luminosità agli ambienti superiori. Un intervento apparentemente minimale, spesso considerato di routine nell’ambito delle ristrutturazioni. Tuttavia, in questa situazione, quei semplici elementi architettonici sono stati considerati incompatibili con il contesto storico.
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Nel 2016, a seguito di un ripensamento da parte dell’amministrazione locale, è arrivato l’annullamento dell’autorizzazione originaria. Il Comune ha quindi ordinato la chiusura di alcune aperture e il ripristino dell’aspetto originario della copertura, avviando una lunga sequenza di atti amministrativi culminati nel rigetto della domanda di compatibilità paesaggistica.
Nonostante i tentativi della proprietaria di salvare almeno una parte dei lucernari già realizzati, la Soprintendenza prima e la Regione poi hanno mantenuto una posizione netta: quelle aperture alterano la percezione visiva e l’identità storica dell’edificio e del centro urbano.
Advertisement - PubblicitàLa risposta negativa delle istituzioni non è stata superficiale né automatica. La Soprintendenza ha motivato il proprio diniego con una valutazione dettagliata del contesto urbano e architettonico in cui l’immobile si inserisce. Secondo l’ente, i lucernari e le finestre oggetto della richiesta non potevano essere considerati “interventi minori”, proprio perché realizzati su un edificio situato nel cuore di un centro storico che ha mantenuto nel tempo la propria fisionomia architettonica tradizionale.
Nel parere tecnico viene evidenziato come qualsiasi modifica visibile alla copertura – specie se ripetuta e non armonizzata con il contesto – possa determinare una “vulnerabilità del paesaggio urbano”. In particolare, nel caso specifico, l’affaccio su una piazza di valore storico e la possibilità di osservare chiaramente i tetti dall’esterno rendevano l’intervento ancor più impattante. Non solo: le aperture non risultavano allineate tra loro, peggiorando l’effetto estetico.
Il TAR ha confermato questa posizione, sottolineando che le modifiche introdotte – seppur isolate – possono innescare un effetto domino: una proliferazione disordinata di elementi incongrui, che col tempo compromette l’identità visiva del centro storico. Ecco perché anche interventi apparentemente minimi, come l’inserimento di lucernari, devono essere valutati nel loro impatto complessivo e non solo come dettagli tecnici.
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Advertisement - PubblicitàUna delle principali argomentazioni portate dalla proprietaria per giustificare la legittimità dei lucernari era l’esistenza di una precedente autorizzazione rilasciata dal Comune nel 2013. Tale atto autorizzava l’intervento paesaggistico nell’ambito di una SCIA edilizia presentata per il recupero del sottotetto. Ma quella autorizzazione, secondo quanto emerso nel giudizio, non aveva più alcun valore legale.
Il TAR ha chiarito un punto fondamentale: quando viene annullato il titolo edilizio che giustificava un intervento, anche l’eventuale autorizzazione paesaggistica ad esso collegata decade. In questo caso, la SCIA era stata revocata nel 2016 dal Comune stesso, a causa dell’incompatibilità dell’intervento con la normativa regionale (in particolare l’art. 7 della L.R. Lazio 13/2009, che vieta il recupero dei sottotetti in zona “A”). Di conseguenza, anche il parere paesaggistico comunale che accompagnava quella SCIA ha perso efficacia.
Non solo. La Soprintendenza, nel rilasciare il proprio diniego, non era tenuta ad attivare una procedura di autotutela nei confronti dell’autorizzazione precedente, proprio perché quest’ultima era già stata annullata. Il messaggio che arriva dalla sentenza è chiaro: non basta avere un’autorizzazione vecchia in mano per sentirsi al sicuro, se nel frattempo cambiano le regole, i vincoli o le interpretazioni normative.
Advertisement - PubblicitàUn altro punto chiave del ricorso riguardava l’interpretazione del D.P.R. 31/2017, il regolamento che disciplina gli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o assoggettati a procedimento semplificato. In particolare, la proprietà sosteneva che l’inserimento di lucernari e finestre in copertura fosse tra le opere non soggette ad autorizzazione, come previsto dagli allegati A e B del regolamento, purché rispettassero materiali, colori e tipologia dell’edificio.
A complicare il quadro è intervenuta la Circolare ministeriale n. 42 del 2017, che però – secondo il ricorso – avrebbe dato un’interpretazione troppo rigida del regolamento, includendo genericamente tutti gli edifici realizzati prima del 1945 tra quelli da assoggettare a parere paesaggistico, a prescindere dalla loro effettiva rilevanza storica.
Il TAR, però, ha respinto queste censure. Secondo i giudici, non si può isolare il singolo elemento edilizio (il lucernario o la finestra) da un intervento più ampio – in questo caso, il recupero abitativo dell’intero sottotetto – e sostenere che sia automaticamente escluso dalla procedura di autorizzazione. Anzi, proprio in contesti storici vincolati, anche una piccola apertura sul tetto può generare un impatto significativo sulla percezione del paesaggio urbano.
In altre parole, la valutazione va fatta nel suo insieme, considerando l’effetto cumulativo e visivo dell’intervento e il rischio che simili modifiche, se ripetute da altri cittadini, possano alterare l’identità architettonica del centro storico.
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