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Il Comune acquisisce l’immobile: quando la sanatoria non basta

Una sentenza conferma l’acquisizione al patrimonio comunale di un immobile abusivo. Il TAR chiarisce che la sanatoria non è possibile se il bene è già stato acquisito legalmente.

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In edilizia, l’irregolarità può costare cara. Ma ancora più cara può risultare l’inerzia: lasciare passare il tempo, ignorare un’ordinanza di demolizione, sperare che tutto si risolva con una sanatoria. È quanto accaduto a una società lombarda, che si è vista rigettare la richiesta di permesso di costruire in sanatoria da parte del Comune, perdendo infine la proprietà dell’immobile abusivo.

Il caso è approdato davanti al TAR della Lombardia, che con la sentenza n. 562 del 2025 ha confermato la piena legittimità dell’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale.

Una pronuncia chiara e netta che chiarisce alcuni punti fondamentali del diritto edilizio: quando si perde il diritto di sanare, cosa comporta non demolire entro i termini e in che momento l’immobile diventa definitivamente pubblico.

Cosa si intende per doppia conformità? È possibile recuperare la proprietà una volta acquisita dal Comune? E quando la dichiarazione di sanatoria non è più sufficiente a salvare un’opera? Scopriamo cosa ha deciso il TAR e quali insegnamenti possiamo trarre da questo caso.

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Una lunga storia di abusi edilizi, demolizioni ignorate e ricorsi respinti

Il caso prende avvio nel 2019, quando il Comune lombardo, dopo alcuni sopralluoghi effettuati dalla Polizia Locale, emette due ordinanze di demolizione. Le contestazioni riguardano opere realizzate in un capannone artigianale e nella relativa area esterna: ampliamenti interni, nuove aperture, locali tecnici trasformati in depositi, e persino un piano interrato reso accessibile e fruibile in modo difforme rispetto al titolo edilizio originario. In sostanza, interventi edilizi eseguiti in assenza o in totale difformità rispetto al titolo abilitativo.

La società destinataria delle ordinanze impugna i provvedimenti ma non chiede la sospensione cautelare. Ciò significa che, nelle more del giudizio, l’efficacia delle ordinanze resta intatta. Il tempo passa, e la società non provvede alla demolizione entro i 90 giorni previsti dall’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia. Questo silenzio, nel mondo del diritto amministrativo, ha conseguenze molto serie: la normativa stabilisce infatti che, in caso di inottemperanza, l’immobile abusivo e l’area di sedime vengano acquisite di diritto al patrimonio comunale, senza necessità di ulteriore decisione.

Nel 2020, con un verbale ufficiale, il Comune accerta l’inottemperanza. A questo punto scattano due conseguenze: l’immobile passa giuridicamente sotto la proprietà del Comune e viene comminata una sanzione amministrativa da 20.000 euro.

Nonostante ciò, nel 2021 la società presenta una domanda di permesso di costruire in sanatoria, invocando la “doppia conformità” dell’intervento edilizio, cioè la sua compatibilità urbanistica sia al momento della realizzazione, sia al momento della richiesta di sanatoria. Il Comune però respinge la domanda: troppo tardi, ormai la proprietà del bene è cambiata, e la società non ha più titolo per chiedere la regolarizzazione.

Non rassegnata, la società propone due ricorsi amministrativi distinti: uno contro il diniego della sanatoria, l’altro contro il provvedimento di acquisizione dell’immobile. Ma nessuno dei due avrà esito positivo.

Nel corso del contenzioso, la società tenta anche di sostenere di non essere più proprietaria del bene al momento delle notifiche, o che addirittura la titolarità del bene sia incerta per effetto di un’altra compravendita. Ma il TAR è netto: anche ammettendo l’incertezza dominicale, la società era certamente proprietaria all’epoca degli abusi, ed è stata legittimamente destinataria dell’ordinanza di demolizione.

La sentenza del TAR chiarisce che chi è responsabile dell’abuso non può sottrarsi agli effetti sanzionatori semplicemente contestando la proprietà in un secondo momento. La perdita del bene, nel caso di abuso non sanato e mancata demolizione, è automatica e definitiva.

Leggi anche: Condono edilizio e buona fede non bastano: demolizione e acquisizione confermate

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Sanatoria edilizia: quando è ancora possibile e quando è troppo tardi

La sanatoria edilizia è spesso vista come un’ancora di salvezza per chi ha commesso irregolarità. Ma non è un diritto assoluto: è una possibilità, subordinata a condizioni precise. In questo caso, la richiesta di sanatoria è stata respinta non tanto per il contenuto delle opere, quanto per il momento in cui è stata presentata: troppo tardi.

Secondo l’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001), la sanatoria può essere concessa solo se le opere abusive risultano conformi sia alla disciplina edilizia vigente al momento della loro realizzazione, sia a quella vigente al momento della richiesta – è la cosiddetta “doppia conformità”. Ma anche quando questa condizione è rispettata, il termine per presentare l’istanza è perentorio: deve avvenire prima che scadano i 90 giorni previsti dall’ordinanza di demolizione.

Nel caso trattato dal TAR, la società ha presentato l’istanza dopo il termine di legge, quando l’immobile era già stato acquisito al patrimonio pubblico. E qui entra in gioco un principio chiarito anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: una volta che l’acquisizione è avvenuta, chi era proprietario non può più presentare istanza di sanatoria, salvo che sia anche l’autore materiale dell’abuso.

Ma nel giudizio in esame, la società ha dichiarato che gli abusi risalivano a prima dell’acquisto, rinunciando così implicitamente alla possibilità di qualificarsi come autrice. Quindi, né come proprietaria né come autrice, la società poteva essere legittimata a ottenere la regolarizzazione.

La sanatoria, a quel punto, non è solo inammissibile: diventa giuridicamente impossibile. E come ha chiarito il TAR, anche eventuali dubbi sulla proprietà attuale del bene non cambiano la sostanza: l’acquisizione per inottemperanza è un effetto automatico, ex lege, e chi non ha demolito nei termini non può rientrare in possesso del bene attraverso una semplice sanatoria.

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Il potere del comune: l’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo

Uno degli strumenti più incisivi che la normativa urbanistica mette a disposizione delle amministrazioni comunali è l’acquisizione gratuita degli immobili abusivi. Non è un’opzione, ma una conseguenza automatica dell’inottemperanza all’ordine di demolizione. A regolare questa dinamica è l’articolo 31, commi 3 e 4, del DPR 380/2001: quando il proprietario non provvede alla rimozione delle opere abusive entro 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza, l’immobile e l’area su cui insiste passano automaticamente al patrimonio del Comune, senza bisogno di ulteriori atti discrezionali.

Nel caso esaminato dal TAR, questa sequenza si è sviluppata in maniera lineare:

  1. Ordinanza di demolizione notificata;
  2. Inottemperanza accertata dalla Polizia Locale;
  3. Provvedimento dirigenziale di acquisizione redatto;
  4. Approvazione del progetto per il ripristino da parte della Giunta comunale.

La società ricorrente ha provato a contestare l’acquisizione sollevando questioni legate alla titolarità del bene: secondo la sua tesi, la proprietà del mappale sarebbe in realtà in discussione e soggetta a un giudizio civile pendente. Ma il TAR ha respinto con decisione questo argomento: la legittimità dell’acquisizione non dipende dall’assoluta certezza della titolarità, bensì dalla responsabilità dell’abuso. Chi ha realizzato o mantenuto l’abuso e ha ricevuto l’ordinanza di demolizione è il soggetto legittimamente destinatario di tutte le conseguenze, compresa la perdita della proprietà.

La giurisprudenza richiamata dal TAR è chiara: l’effetto acquisitivo si produce ex lege, cioè automaticamente, e il bene diventa di proprietà comunale a titolo originario, come se fosse sempre appartenuto al pubblico. Anche se un terzo dovesse dimostrare, in un diverso contesto, di essere l’effettivo proprietario, non potrà sottrarsi alla potestà repressiva del Comune, che potrà eventualmente emettere nuovi provvedimenti. In altre parole, l’acquisizione non è annullabile per semplice incertezza sulla proprietà.

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale del diritto urbanistico: l’interesse pubblico alla tutela del territorio e alla repressione dell’abusivismo edilizio prevale su ogni altra considerazione. E l’inerzia del privato non viene perdonata.

Leggi anche: Abuso edilizio: il Comune può acquisire l’immobile gratuitamente e demolirlo

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Quando è troppo tardi: la perdita della legittimazione e il punto di non ritorno

Nel mondo dell’edilizia, ogni ritardo può trasformarsi in una sconfitta. Il caso esaminato dal TAR mette in luce un aspetto spesso trascurato da cittadini e imprese: non basta avere buone ragioni o cercare di sanare un abuso con ritardo, serve anche avere il titolo giuridico per farlo. Una volta acquisito l’immobile al patrimonio del Comune, il soggetto che ne era proprietario non è più legittimato a chiedere la sanatoria.

La normativa prevede due possibili soggetti che possono presentare l’istanza:

  • Il proprietario attuale dell’immobile, o
  • L’autore dell’abuso.

Nel caso esaminato, la società ricorrente non rientrava in nessuna delle due categorie. Aveva infatti dichiarato che le opere oggetto della richiesta erano state realizzate prima del suo acquisto, negando così di essere l’autrice degli abusi. Ma, allo stesso tempo, non era più proprietaria, avendo lasciato decorrere i 90 giorni previsti dalla legge senza demolire le opere, con la conseguente acquisizione automatica al patrimonio comunale.

A questo si aggiunge un ulteriore dettaglio rilevante: la società aveva già impugnato le ordinanze del 2019, ma il ricorso è stato dichiarato perento – cioè chiuso per inattività – e non era stata nemmeno chiesta una sospensione cautelare. In assenza di sospensiva, l’ordinanza ha continuato a produrre i suoi effetti. Tutti questi elementi hanno portato il TAR a una conclusione inevitabile: la società non aveva più alcun titolo per chiedere o contestare alcunché.

In termini giuridici, questa è una perdita della legittimazione attiva. In termini concreti, è la fine di ogni possibilità di salvare il bene. E proprio qui sta il cuore della sentenza: in edilizia, esiste un punto di non ritorno, oltre il quale neppure una sanatoria può riportare indietro le lancette del diritto.



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TAGS: abusi edilizi, acquisizione comunale, demolizione opere abusive, diritto urbanistico, doppia conformità, DPR 380/2001, edilizia abusiva, sanatoria edilizia, sentenza TAR 562 2025, TAR Lombardia

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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