Il settore edilizio è al centro di una vera e propria rivoluzione verde. Con la Direttiva (UE) 2024/1275, l’Unione Europea ha tracciato un piano ambizioso per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, e una parte fondamentale di questo percorso riguarda proprio gli edifici: responsabili, da soli, di circa il 40% del consumo energetico totale e del 36% delle emissioni di gas serra.

A partire dal 2030, tutte le nuove costruzioni dovranno essere a zero emissioni. Non solo: anche gli edifici già esistenti saranno gradualmente obbligati a ristrutturazioni energetiche per migliorare le proprie performance, pena l’esclusione dal mercato immobiliare o una pesante svalutazione. È un cambiamento epocale che coinvolge proprietari, acquirenti, costruttori, progettisti e amministratori di condominio.

Cosa significa davvero “zero emissioni”? Quali immobili rischiano di non poter più essere venduti o affittati? Come cambierà il modo di costruire e abitare nei prossimi anni?

Scopriamolo insieme nei prossimi paragrafi.

Advertisement - Pubblicità

Cosa prevede la direttiva 2024/1275: gli obiettivi UE a lungo termine

Approvata il 24 aprile 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea l’8 maggio 2024, la Direttiva (UE) 2024/1275 rappresenta la nuova cornice normativa per la prestazione energetica degli edifici. L’obiettivo principale è chiaro: decarbonizzare completamente il patrimonio edilizio europeo entro il 2050, rendendo ogni immobile un edificio a emissioni zero.

Per farlo, la direttiva stabilisce tre tappe fondamentali:

  1. Dal 2028, tutti i nuovi edifici pubblici dovranno essere a emissioni zero.
  2. Dal 2030, l’obbligo sarà esteso a tutti i nuovi edifici, pubblici e privati.
  3. Entro il 2050, l’intero parco immobiliare esistente dovrà essere convertito in edifici a zero emissioni, attraverso un processo di ristrutturazione progressiva.

L’Unione Europea, attraverso questo provvedimento, punta a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, promuovere le energie rinnovabili, migliorare l’efficienza degli edifici e, al contempo, contrastare la povertà energetica.

Questa trasformazione, però, non si limita alla costruzione di nuovi immobili: coinvolge milioni di edifici esistenti che dovranno essere adeguati energeticamente entro scadenze precise e vincolanti. Una sfida tecnica, economica e sociale senza precedenti.

Advertisement - Pubblicità

Cosa significa davvero “edificio a zero emissioni”?

Nell’immaginario comune, parlare di “case a emissioni zero” evoca pannelli solari e tecnologie all’avanguardia. Ma nella realtà normativa definita dalla Direttiva (UE) 2024/1275, questa espressione assume un significato ben più profondo e tecnico. Un edificio a zero emissioni non è solo una struttura efficiente, ma è il frutto di un approccio integrato che coinvolge progettazione, materiali, impianti e gestione energetica lungo l’intero ciclo di vita dell’immobile.

Per essere considerato realmente a zero emissioni, un edificio deve soddisfare requisiti rigorosi. Innanzitutto, deve essere caratterizzato da un fabbisogno energetico estremamente basso, ottenuto grazie a soluzioni costruttive avanzate, come un involucro termico altamente isolato, infissi performanti, orientamento ottimale e strategie di ventilazione naturale. L’obiettivo è limitare al massimo la necessità di energia per riscaldamento, raffrescamento e illuminazione, rendendo l’edificio quasi autosufficiente.

Ma l’efficienza, da sola, non basta. L’energia residua necessaria deve infatti provenire da fonti rinnovabili. La direttiva incentiva in particolare la produzione in loco, attraverso impianti fotovoltaici, solare termico, pompe di calore e sistemi geotermici. Quando la produzione locale non è possibile, si può attingere da reti di teleriscaldamento o altre fonti rinnovabili vicine. Ciò che conta è che l’edificio, nel suo funzionamento quotidiano, non generi emissioni operative di gas a effetto serra, né utilizzi combustibili fossili come gas metano o gasolio.

Un altro elemento innovativo introdotto dalla normativa è l’analisi dell’intero ciclo di vita dell’edificio. Non si guarda più soltanto ai consumi annui, ma anche all’impatto ambientale dei materiali utilizzati: dalla produzione al trasporto, dall’assemblaggio allo smaltimento. Per questo motivo, vengono favoriti materiali sostenibili, riciclabili e a bassa intensità di carbonio, con particolare attenzione al cosiddetto “potenziale di riscaldamento globale” (GWP).

Infine, il concetto di edificio a zero emissioni si lega anche alla capacità dell’edificio di integrarsi con sistemi intelligenti di gestione energetica. La predisposizione all’automazione – attraverso sensori, sistemi di controllo remoto e tecnologie digitali – diventa parte integrante della nuova edilizia sostenibile, contribuendo a ridurre ulteriormente i consumi e a migliorare il comfort abitativo.

In sintesi, un edificio a zero emissioni non è solo un prodotto edilizio, ma il risultato di una filosofia progettuale che mette al centro il clima, le risorse e il benessere delle persone. Un nuovo standard obbligatorio per le nuove costruzioni dal 2030, che presto diventerà la normalità anche per gli edifici esistenti.

Leggi anche: NZEB: cosa sono gli edifici a energia quasi zero?

Advertisement - Pubblicità

Dal 2025 stop agli incentivi per le caldaie a gas: cosa cambia negli impianti?

Uno dei punti più concreti e immediati della direttiva è lo stop agli incentivi pubblici per l’installazione di caldaie alimentate unicamente da combustibili fossili a partire dal 1° gennaio 2025. Questo significa che non sarà più possibile ricevere agevolazioni fiscali o contributi pubblici per l’acquisto di caldaie a gas, a meno che non facciano parte di un sistema ibrido (ad esempio una caldaia abbinata a un impianto solare termico o a una pompa di calore).

Questa misura è un chiaro segnale della volontà dell’Unione di eliminare progressivamente il riscaldamento a gas e gasolio, responsabile di una quota significativa delle emissioni residenziali.

In parallelo, gli Stati membri sono chiamati a:

  • Favorire sistemi di riscaldamento a basse emissioni o totalmente rinnovabili;
  • Promuovere l’uso di pompe di calore e tecnologie solari;
  • Introdurre norme nazionali per vietare i generatori di calore inquinanti sulla base delle emissioni di CO₂ o del tipo di combustibile usato.

Per cittadini e imprese, questo rappresenta una svolta importante: gli impianti tradizionali saranno sempre meno convenienti e sempre più spesso incompatibili con le nuove normative. Chi costruisce o ristruttura dovrà tenere conto di questo scenario, anche in termini di investimento e ritorno economico.

Leggi anche: Conto Termico 3.0: guida completa all’incentivo

Advertisement - Pubblicità

Cosa succede agli edifici esistenti: chi deve ristrutturare e quando?

Se per i nuovi edifici le regole sono chiare, la sfida più complessa riguarda il patrimonio immobiliare esistente. La Direttiva (UE) 2024/1275 prevede infatti un piano di ristrutturazioni energetiche obbligatorie, con tappe vincolanti e graduali fino al 2050, quando tutti gli edifici dovranno essere a zero emissioni.

In particolare:

  • Entro il 2030, gli Stati membri dovranno garantire che almeno il 16% degli edifici residenziali con le peggiori prestazioni energetiche (classe G o equivalente) sia stato ristrutturato.
  • Entro il 2033, la quota dovrà salire almeno al 26% del totale degli edifici residenziali.

Il focus è su quelle strutture che oggi consumano di più, spesso costruite prima degli anni ‘90, prive di isolamento termico o dotate di impianti obsoleti. Gli edifici in classe energetica G o F, se non ristrutturati, perderanno valore, e col tempo potrebbero non essere più accettati per la locazione o la vendita, soprattutto nel mercato residenziale e nelle città ad alta efficienza.

Attenzione: la direttiva non impone un divieto diretto alla vendita o all’affitto, ma crea un contesto in cui gli immobili non conformi saranno penalizzati fiscalmente, economicamente e burocraticamente, in base alle normative nazionali che ogni Stato membro dovrà introdurre.

Leggi anche: Sostituzione infissi: ecco quando è detraibile con l’Ecobonus

Chi è escluso temporaneamente dagli obblighi?

La direttiva consente alcune esenzioni precise, tra cui:

  • Edifici destinati a demolizione certa o documentata.
  • Casi di gravi difficoltà economiche o sociali (ad esempio famiglie vulnerabili o immobiliari in aree depresse).
  • Edifici storici o protetti, dove gli interventi rischierebbero di compromettere il valore architettonico.
  • Strutture con destinazioni d’uso particolari, come luoghi di culto, caserme, edifici agricoli non abitativi o temporanei.

Tuttavia, gli Stati membri dovranno motivare chiaramente ogni esenzione, specificando i criteri nei rispettivi piani nazionali di ristrutturazione, e compensare con interventi su altri edifici per non rallentare il percorso verso la neutralità climatica.