Una rampa e una scala realizzate senza permessi sono state considerate abusi edilizi dal TAR Campania, che ha ribadito i limiti dell’edilizia libera e l’obbligo del titolo abilitativo.

Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di edilizia libera come possibilità per cittadini e imprese di realizzare piccoli interventi senza dover affrontare la burocrazia dei permessi di costruire. Tuttavia, non tutto ciò che “sembra” libero lo è davvero. E quando si confonde la semplificazione normativa con una sorta di “zona franca”, le conseguenze possono essere pesanti: ordinanze di sospensione lavori, ripristino dello stato dei luoghi, spese legali e, in ultima istanza, la demolizione delle opere realizzate.
È proprio quello che è accaduto in un recente caso deciso dal TAR della Campania, in cui una società immobiliare ha trasformato una finestra in porta, costruito una scala d’accesso e una rampa per disabili, ritenendo l’intervento del tutto legittimo e temporaneo. Il Comune, invece, ha ordinato il blocco dei lavori e successivamente la demolizione, considerandoli abusi edilizi. La vicenda è finita in tribunale e ha sollevato una questione chiave: quando un’opera può davvero dirsi “libera”? E qual è il limite tra semplificazione e abuso?
Ti sei mai chiesto se per aprire una nuova porta o installare una rampa serva un permesso edilizio? O se un intervento fatto “temporaneamente” può davvero evitare le sanzioni?
Continua a leggere per scoprire come il TAR ha risposto a queste domande e cosa bisogna sapere prima di iniziare qualunque lavoro.
Sommario
Tutto ha avuto inizio con un intervento edilizio realizzato all’interno di un’area commerciale, adiacente a una stazione di servizio. Una società immobiliare, proprietaria di uno degli immobili presenti, ha avviato alcuni lavori per adattare uno spazio temporaneo a uso commerciale: è stata trasformata una finestra in una porta d’ingresso, è stata costruita una scala di quattro gradini in cemento e una rampa per l’accesso dei disabili.
L’intervento, secondo la società, era temporaneo e funzionale: serviva ad ospitare provvisoriamente un’attività commerciale in attesa del completamento della sede definitiva. Per questo motivo, è stato dichiarato come rientrante nella “edilizia libera”, sostenendo che non fosse necessario alcun permesso di costruire e che le opere sarebbero state rimosse entro 180 giorni.
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Ma le autorità comunali hanno avuto un’opinione molto diversa. In seguito a un sopralluogo eseguito dalla Polizia Municipale – attivata a seguito di una segnalazione – sono stati riscontrati interventi edilizi privi di qualsiasi titolo abilitativo. Da lì è partita una sequenza di provvedimenti: sospensione immediata dei lavori, ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi e diffide formali.
La società, ritenendo ingiusti i provvedimenti, si è rivolta al TAR Campania, chiedendo l’annullamento delle ordinanze. Il Tribunale ha però deciso diversamente, entrando nel merito della natura delle opere realizzate e del quadro normativo applicabile.
Advertisement - PubblicitàDi fronte ai provvedimenti del Comune, la società immobiliare ha contestato duramente la legittimità delle ordinanze, sostenendo che le opere realizzate non richiedessero alcun permesso di costruire. A loro avviso, si trattava di interventi minori, temporanei e finalizzati all’eliminazione di barriere architettoniche, pienamente rientranti nelle ipotesi di edilizia libera previste dall’art. 6 del DPR 380/2001.
In particolare, veniva sottolineato che:
Sulla base di queste argomentazioni, la società ha sostenuto che l’azione comunale fosse disproporzionata, carente di istruttoria, viziata sotto il profilo della motivazione e, soprattutto, lesiva del principio di buon andamento e proporzionalità dell’azione amministrativa. È stata quindi richiesta al TAR la sospensione e l’annullamento delle ordinanze.
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Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo Regionale ha rigettato tutte le argomentazioni della società, ritenendo infondata la tesi secondo cui le opere potessero rientrare nell’edilizia libera. Secondo il TAR, non si è trattato di un semplice adattamento temporaneo, ma di un vero e proprio intervento edilizio composito, funzionale alla creazione di un nuovo ingresso per un locale commerciale.
La trasformazione di una finestra in porta, accompagnata dalla realizzazione di una scala in cemento e di una rampa per disabili, ha comportato una modifica sostanziale dell’edificio, sia dal punto di vista strutturale sia paesaggistico. Questi elementi – ha sottolineato il TAR – non possono essere considerati reversibili o accessori, e soprattutto non risultano giustificabili come opere per il superamento di barriere architettoniche, poiché l’accesso non esisteva affatto prima dei lavori.
Inoltre, anche la presunta “temporaneità” dell’intervento è stata smentita dai fatti: a distanza di oltre un anno dal sopralluogo, le opere risultavano ancora presenti, contraddicendo quanto dichiarato dalla società stessa. Senza dimenticare che, essendo realizzate in muratura, hanno un’evidente connotazione di permanenza.
Dal punto di vista normativo, il TAR ha richiamato il DPR 31/2017, che prevede l’autorizzazione paesaggistica anche semplificata per interventi come rampe e scale esterne, e ha evidenziato che secondo il Regolamento Edilizio Tipo, recepito anche in Campania, la costruzione di rampe e scale incide sulla sagoma dell’edificio, rendendo necessario il permesso di costruire.
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Advertisement - PubblicitàOltre alla rampa e alla porta, la sentenza ha analizzato un altro aspetto fondamentale dell’intervento edilizio: la realizzazione di un muro di recinzione in muratura, parte del quale costruito anche su suolo comunale. La società ha sostenuto di non essere responsabile per la porzione di muro fuori dai propri confini e di aver semplicemente effettuato interventi di manutenzione.
Ma per il TAR questa difesa non regge. Il muro, infatti, era chiaramente una prosecuzione strutturale di quello realizzato sulla proprietà privata, ed era stato oggetto di lavori dichiarati dalla stessa società, che ne ha rivendicato l’uso e la gestione. Inoltre, la parte di recinzione realizzata in muratura superava i 2,70 metri di altezza, mentre il titolo edilizio rilasciato in precedenza autorizzava un’altezza di solo un metro.
E qui arriva il punto chiave: un muro con queste caratteristiche non può essere considerato un’opera accessoria o di edilizia libera, ma rientra a pieno titolo tra gli interventi di nuova costruzione, che secondo il DPR 380/2001 richiedono il permesso di costruire. Il TAR ha richiamato una giurisprudenza ormai consolidata: quando un muro di recinzione, per dimensioni e impatto, modifica l’assetto urbanistico dell’area, è soggetto a regolare autorizzazione edilizia.
Nessun rilievo, inoltre, ha avuto il fatto che parte del muro fosse realizzato su area comunale, dal momento che non è emersa alcuna prova che qualcun altro ne avesse eseguito la costruzione. E proprio il carattere invasivo e permanente dell’opera ha giustificato pienamente l’ordine di demolizione.
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Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti più utilizzati da chi subisce un ordine di demolizione è quello della proporzionalità: ci si chiede se sia davvero necessario arrivare a rimuovere un’opera per un’irregolarità che può sembrare minima. Ma la risposta del TAR Campania è netta: l’attività sanzionatoria in materia edilizia è vincolata, non discrezionale.
Ciò significa che, una volta accertato un abuso edilizio, l’amministrazione non può “scegliere” se applicare la sanzione, né sostituirla con una multa a meno che non vi siano i presupposti specifici previsti dalla legge. In particolare, quando si tratta di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo e in zona soggetta a vincolo paesaggistico, l’unica misura legittima è il ripristino dello stato dei luoghi.
Il TAR ha inoltre precisato che l’autorizzazione paesaggistica non può essere “aggirata” facendo riferimento alla natura presunta dell’intervento (come “temporaneo” o “accessibile”): se la rampa supera i 60 cm di dislivello, come accaduto in questo caso, rientra automaticamente tra gli interventi per i quali è obbligatorio ottenere il nulla osta paesaggistico, anche se semplificato.
In sostanza, l’amministrazione comunale non ha fatto altro che applicare quanto previsto dalla normativa vigente, e il giudice amministrativo ha confermato la correttezza del procedimento, respingendo anche le accuse di carenza di motivazione e di eccessivo affidamento riposto dalla società nei precedenti titoli edilizi.
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