Revocato un incentivo per caldaia ad alta efficienza per carenze documentali. Il TAR Lazio chiarisce limiti e obblighi del GSE, salvaguardando il riesame in assenza di dichiarazioni false.
L’installazione di caldaie ad alta efficienza energetica, come quelle a condensazione a 4 stelle, è uno degli interventi più diffusi nel panorama delle agevolazioni legate al risparmio energetico. Tuttavia, ottenere un incentivo non significa essere al riparo da sorprese: anche a distanza di anni, i controlli del Gestore dei Servizi Energetici (GSE) possono portare alla revoca dei contributi e alla richiesta di restituzione delle somme percepite, se emergono irregolarità o carenze nella documentazione.
È quanto accaduto in un recente caso giudicato dal TAR Lazio, che ha respinto il ricorso di una società attiva nel settore dell’efficienza energetica, a cui era stato revocato l’incentivo per l’installazione di una caldaia alimentata a gas naturale, con potenza nominale inferiore ai 35 kW, per presunte violazioni dei requisiti previsti dalla normativa.
Il caso pone domande importanti: quali documenti sono realmente necessari per mantenere il diritto all’incentivo? Le norme valgono anche se introdotte dopo l’approvazione del progetto? E soprattutto: in assenza di dolo o frode, è legittima la decadenza dai contributi?
Se ti occupi di progettazione, installazione o rendicontazione di interventi energetici, questo approfondimento può aiutarti a evitare errori che potrebbero costare caro.
Sommario
Tra gli interventi sottoposti a verifica, oggetto di revoca e poi analizzati dal TAR Lazio, figura anche l’installazione di una caldaia unifamiliare a 4 stelle di efficienza, alimentata a gas naturale e con una potenza termica nominale non superiore a 35 kW. Si tratta di una delle tipologie di impianto previste dalla scheda tecnica 3T, contenuta nel Decreto Ministeriale 28 dicembre 2012, destinata a promuovere interventi di piccole dimensioni per l’efficienza energetica.
Il progetto era stato inizialmente approvato dal GSE, che aveva riconosciuto l’intervento come ammissibile al rilascio dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE), detti anche certificati bianchi. A distanza di alcuni anni, tuttavia, a seguito di una verifica documentale, il GSE ha comunicato l’annullamento del beneficio per carenze legate alla documentazione tecnica e amministrativa presentata.
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In particolare, secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, non sarebbero stati forniti tutti i documenti necessari a dimostrare l’effettiva installazione dell’impianto, a identificare univocamente la caldaia utilizzata e a determinare correttamente il valore di risparmio energetico (UFR) generato. A ciò si è aggiunta l’assenza di autocertificazioni sottoscritte dai clienti coinvolti o di un accordo formale tra il soggetto titolare dell’impianto e il soggetto proponente, documenti che il GSE ha ritenuto essenziali anche per gli interventi presentati prima del 2017.
Una posizione che ha sollevato forti contestazioni da parte della società, ma che è stata in gran parte confermata dal Tribunale amministrativo.
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Advertisement - PubblicitàUno dei punti più delicati sollevati nel ricorso riguardava l’applicazione retroattiva di norme sopravvenute rispetto alla presentazione del progetto. In particolare, il GSE aveva motivato la revoca dell’incentivo anche con il mancato invio di autocertificazioni firmate dai clienti finali e con l’assenza di un accordo esplicito tra il soggetto proponente e quello titolare dell’impianto.
Tuttavia, questi obblighi sono stati introdotti solo successivamente, con l’entrata in vigore del D.M. 11 gennaio 2017.
La società, infatti, aveva presentato la richiesta di incentivo nel 2014, quando la normativa di riferimento era ancora il D.M. 28 dicembre 2012 e le Linee Guida AEEG EEN 9/11 del 2011, che non prevedevano in modo esplicito tali obblighi documentali. La linea difensiva si è quindi basata sul principio di irretroattività, sostenendo che non fosse legittimo applicare norme nuove a procedimenti già conclusi, soprattutto se queste introducono oneri aggiuntivi a carico dei richiedenti.
Il TAR Lazio, tuttavia, ha dato ragione al GSE, richiamando l’art. 14 del D.M. 2012, che prevede controlli sulla “completezza e regolarità della documentazione da conservare”, e sottolineando come la categoria di documentazione richiesta non sia tassativa, ma “aperta”. In altre parole, anche se al momento della presentazione non erano ancora entrate in vigore norme più dettagliate, il soggetto proponente aveva comunque l’onere di fornire prove sufficienti, sia dell’installazione dell’impianto che della relazione con i clienti finali.
Questa interpretazione è coerente con la giurisprudenza più recente, secondo cui il GSE ha il potere di effettuare verifiche ex post e può revocare gli incentivi se la documentazione non consente un riscontro chiaro e affidabile degli interventi dichiarati. Un orientamento che rafforza il concetto di responsabilità documentale a carico degli operatori e riduce, di fatto, il margine per appellarsi al principio del legittimo affidamento.
Advertisement - PubblicitàNonostante il rigetto delle principali contestazioni sollevate dalla società in merito alla documentazione tecnica e alla presunta irretroattività normativa, il TAR Lazio ha accolto uno dei motivi aggiunti presentati nel corso del giudizio: quello relativo alla richiesta di riesame dell’atto di decadenza ai sensi dell’art. 56 del D.L. 76/2020, norma inserita con finalità di semplificazione e sanatoria nei casi in cui gli impianti, pur presentando irregolarità, non siano frutto di frodi o dichiarazioni false.
Secondo la disposizione, il GSE è tenuto a rivalutare su istanza del richiedente le situazioni in cui un incentivo sia stato revocato oltre i termini stabiliti per legge, ossia 18 mesi secondo l’art. 21-nonies della Legge 241/1990, a meno che non vi siano elementi di dolo, come falsi documenti o dichiarazioni mendaci.
Nel caso analizzato dal TAR, l’atto di decadenza era arrivato oltre quattro anni dopo l’erogazione dell’incentivo e non risultavano condotte fraudolente da parte della società, ma solo presunte difformità documentali e tecniche. Secondo i giudici, in mancanza di “falsità rilevanti” o comportamenti ingannevoli, il GSE non poteva legittimamente rigettare l’istanza di riesame, come invece aveva fatto nel 2022.
Il Tribunale ha quindi annullato il provvedimento di rigetto dell’istanza, ordinando al GSE di rivalutare la posizione del soggetto richiedente, alla luce dei principi di proporzionalità, affidamento e buona fede. Un passaggio che, pur non garantendo automaticamente il ripristino degli incentivi, riapre la possibilità per il proponente di vedere riconosciuti i propri diritti, anche dopo una decadenza formale.
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