La possibilità di beneficiare delle detrazioni fiscali legate a interventi di recupero edilizio è una questione spesso centrale in ambito successorio. Non di rado, infatti, gli eredi si trovano a subentrare nella titolarità di immobili ristrutturati dal defunto, magari con lavori ancora oggetto di detrazione pluriennale.

Ma cosa accade a questi benefici fiscali se l’erede decide di affittare l’immobile ereditato? E soprattutto: è possibile continuare a fruirne anche se non si abita personalmente la casa?

A sciogliere ogni dubbio è intervenuta la Corte di Cassazione con un’ordinanza recentissima che chiarisce in modo netto e definitivo un principio che avrà un forte impatto su tanti contribuenti: l’erede può usufruire della detrazione solo se ha la detenzione materiale e diretta del bene. In altre parole, niente agevolazione se l’immobile è affittato a terzi.

Una decisione che apre una serie di interrogativi non solo giuridici, ma anche sociali: è giusto perdere un beneficio fiscale solo per aver concesso in locazione un immobile? Come si concilia questo orientamento con il diritto di proprietà e con la libertà contrattuale del cittadino?

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Il caso concreto: un’eredità, una detrazione e un immobile locato

La vicenda alla base dell’ordinanza trae origine da una situazione piuttosto comune. Un contribuente aveva ereditato un immobile da un familiare deceduto, il quale aveva sostenuto spese per il recupero edilizio e iniziato a beneficiare della relativa detrazione fiscale prevista dalla legge n. 289 del 2002. Alla morte del de cuius, l’erede si era trovato a subentrare nella proprietà dell’immobile, ma aveva scelto di mantenerlo in locazione a terzi, come già avveniva in precedenza.

A seguito di un controllo fiscale, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto illegittimo il proseguimento del beneficio fiscale in capo all’erede, notificando quindi una cartella di pagamento per il recupero delle somme detratte. L’erede, contestando la pretesa, aveva fatto ricorso sostenendo che la norma potesse e dovesse essere interpretata in modo più flessibile, alla luce dei principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza.

La controversia è così arrivata fino in Cassazione, dopo un primo accoglimento da parte della Commissione tributaria provinciale e un successivo rigetto in appello da parte della Commissione tributaria regionale. Il punto centrale del giudizio: cosa si intende davvero per “detenzione materiale e diretta” dell’immobile ereditato?

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La decisione della cassazione: solo chi detiene direttamente l’immobile può usufruire della detrazione

Nel suo ragionamento, la Corte di Cassazione ha adottato un approccio rigoroso, fondato sulla lettera della norma. L’art. 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 stabilisce che, in caso di decesso del contribuente che ha diritto alla detrazione per interventi di recupero edilizio, il beneficio si trasmette all’erede “che conservi la detenzione materiale e diretta del bene”. Una formulazione chiara, che secondo la Corte non lascia spazio a interpretazioni estensive o analogiche.

Per “detenzione materiale e diretta”, si deve intendere – specifica la sentenza – una disponibilità concreta dell’immobile, riconducibile all’uso personale e immediato da parte dell’erede, anche se saltuario. In questo quadro, la locazione o il comodato a terzi interrompono il legame diretto con il bene, perché trasferiscono la detenzione esclusiva ad altri soggetti sulla base di un contratto giuridicamente vincolante. Questo vale sia in caso di locazione totale che parziale dell’immobile.

La Corte respinge così le obiezioni dell’erede, secondo cui sarebbe comunque titolare di obblighi e diritti connessi alla proprietà, anche in caso di locazione, e che quindi l’interesse verso il bene rimarrebbe attivo. Per i giudici, questo tipo di argomento non supera la soglia richiesta dalla norma, la quale vuole garantire che il beneficio fiscale venga goduto solo da chi ha un rapporto personale con l’immobile, e non da chi ne trae un rendimento economico tramite terzi.

Inoltre, la Corte evidenzia un altro punto cruciale: le agevolazioni fiscali sono norme di stretta interpretazione. In quanto eccezione al regime tributario ordinario, non possono essere estese a situazioni non previste espressamente dal legislatore. Questo principio, più volte ribadito in giurisprudenza, impedisce di attribuire agevolazioni a soggetti che non rientrano precisamente nei requisiti previsti dalla legge.

Per la Cassazione, quindi, qualunque tentativo di ampliare la portata della norma – anche se motivato da princìpi costituzionali – è da considerarsi un’interpretazione forzata.

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Nessuna violazione della costituzione: la norma resiste al vaglio dei giudici

Una parte significativa del ricorso era incentrata sulla presunta incostituzionalità dell’articolo 2, comma 5, della legge 289/2002. Il ricorrente aveva invocato i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.), di tutela della proprietà (art. 42 Cost.), di solidarietà (art. 2 Cost.) e i vincoli internazionali in materia di diritti umani (art. 1 Protocollo addizionale CEDU), sostenendo che la normativa – così interpretata – generasse disparità di trattamento tra chi riceve un immobile per successione e chi lo acquista per atto tra vivi.

Secondo questa impostazione, l’erede sarebbe ingiustamente penalizzato se non può continuare a usufruire della detrazione già spettante al defunto, solo perché l’immobile è locato.

La Corte, tuttavia, ha respinto con fermezza ogni ipotesi di incostituzionalità, ritenendo le censure non solo infondate, ma anche inammissibili. In primo luogo, ha ricordato che non spetta alla parte sollevare direttamente una questione di legittimità costituzionale, ma è prerogativa esclusiva del giudice del merito, che può valutarne la rilevanza e la non manifesta infondatezza.

In secondo luogo, ha affermato che la norma non è irragionevole, perché risponde a una logica chiara: limitare il godimento del beneficio fiscale solo a chi utilizza direttamente il bene, escludendo quindi chi ne fa un uso economico attraverso terzi.

La Cassazione ha poi sottolineato che il principio di “stretta interpretazione” delle norme agevolative è un cardine del sistema tributario e che la discrezionalità legislativa in materia di benefici fiscali è ampia, a patto che non sia palesemente arbitraria. Inoltre, ha richiamato la giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui gli Stati godono di un margine di manovra molto ampio nelle politiche fiscali, inclusa la possibilità di disciplinare l’uso dei beni ai fini dell’interesse generale.

In definitiva, per i giudici supremi, non si può invocare una violazione della Costituzione ogni volta che una norma fiscale non si adatta alle situazioni soggettive del contribuente. Il diritto all’equità tributaria non implica un obbligo per lo Stato di estendere i benefici oltre quanto stabilito dalla legge.