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Condono negato senza motivazione: il TAR ferma la Soprintendenza

Una sentenza del TAR impone alla Soprintendenza di motivare correttamente un parere negativo su un condono edilizio, ribadendo il valore del giudicato e della trasparenza amministrativa.

Condono negato senza motivazione: il TAR ferma la Soprintendenza Condono negato senza motivazione: il TAR ferma la Soprintendenza
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Nel cuore di Roma, in uno di quei palazzi antichi che raccontano secoli di storia, si è svolta una battaglia silenziosa durata quasi trent’anni. Una semplice richiesta di condono edilizio per un soppalco di 15 metri quadrati ha dato vita a una complessa vicenda giudiziaria tra cittadino, Comune, Ministero della Cultura e Soprintendenza.

Un’opera apparentemente modesta, ma realizzata in un edificio sottoposto a vincolo culturale, ha innescato un labirinto di pareri, ricorsi, sentenze e silenzi. L’Amministrazione ha più volte negato l’autorizzazione alla sanatoria, ma lo ha fatto – secondo il TAR – senza spiegare sufficientemente il perché.

In questo contesto, la recente sentenza del TAR Lazio n. 19840/2025 rappresenta un punto di svolta importante: non solo ha annullato il parere negativo della Soprintendenza, ma ha anche ricordato alla Pubblica Amministrazione che non può ignorare le sentenze precedenti e che deve sempre motivare le proprie decisioni in modo chiaro e trasparente.

Ma cosa ha spinto i giudici ad annullare il parere? Qual è il confine tra tutela dei beni culturali e diritto del cittadino a vedere riconosciute le proprie ragioni? E come devono comportarsi i tecnici e i proprietari in casi simili?

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Il caso concreto

Tutto ha inizio nel lontano 1995, quando il proprietario di un’unità immobiliare situata nel centro storico di Roma presenta una domanda di condono edilizio per la realizzazione di un soppalco praticabile di circa 15 metri quadrati, completo di scala e servizio igienico. L’immobile si trova in un edificio storico, sottoposto a vincolo culturale, e pertanto è necessario acquisire il parere vincolante della Soprintendenza.

Approfondisci: Terzo condono: quando è impossibile ottenere la sanatoria?

Il primo parere, rilasciato nel 2001, è completamente negativo. L’opera – si legge nel documento – sarebbe in contrasto con le caratteristiche architettoniche del palazzo e, secondo l’Amministrazione, potrebbe perfino causare problemi statici all’edificio. Tuttavia, quel parere viene annullato nel 2007 dal TAR Lazio, che lo ritiene privo di motivazione. Non basta, infatti, una dichiarazione generica per negare una sanatoria: servono argomentazioni tecniche chiare e verificabili.

Nonostante la sentenza, l’Amministrazione resta inattiva per anni, costringendo la proprietaria a tornare in Tribunale nel 2018 per far valere il proprio diritto all’esecuzione del giudicato. Il TAR le dà ragione un’altra volta, imponendo al Ministero della Cultura di emettere un nuovo parere, motivato in modo conforme alla precedente decisione.

Nel 2019 arriva il nuovo parere, solo parzialmente favorevole: la Soprintendenza accetta il mantenimento di una parte ridotta del soppalco, ma impone la demolizione del servizio igienico e dei due terzi della superficie, ritenendo che la struttura alteri la volumetria dell’ambiente storico.

A questo punto la cittadina ricorre nuovamente al TAR, lamentando che anche questo secondo parere risulta viziato da carenze istruttorie e motivazionali, e soprattutto in violazione del giudicato già formatosi.

Leggi anche: Soppalco contestato: Il TAR costringe il Comune a rispettare la sentenza sul condono

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Cosa dice la legge in questi casi

Quando si parla di condono edilizio in edifici vincolati, si entra in un ambito particolarmente delicato in cui si intrecciano norme urbanistiche, tutela del patrimonio culturale e principi fondamentali del diritto amministrativo. In questo caso, il punto centrale della controversia è rappresentato dall’art. 32 della legge 47/1985, che regola il procedimento di sanatoria per gli immobili soggetti a vincolo.

Secondo questa norma, il parere della Soprintendenza è vincolante: ciò significa che, in presenza di un parere negativo, il Comune non può rilasciare il condono. Ma la legge impone anche che tale parere sia motivato in modo chiaro, fondato su accertamenti tecnici e giuridici, e proporzionato rispetto all’intervento oggetto di valutazione. È proprio qui che nascono i problemi nel caso di Roma.

A rafforzare questi principi interviene anche la legge 241/1990, che regola il procedimento amministrativo e impone alla Pubblica Amministrazione l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, di ascoltare le osservazioni degli interessati e soprattutto di motivare ogni decisione con trasparenza e completezza.

Leggi anche: Sanatoria edilizia su immobili condonati: stop dal Consiglio di Stato

Inoltre, nel caso di opere già realizzate – come avviene in tutti i procedimenti di condono – la valutazione da parte della Soprintendenza non può limitarsi a un giudizio teorico o astratto, ma deve considerare il contesto attuale e il passare del tempo. Come ricordano numerose sentenze, la compatibilità paesaggistica postuma deve valutare se, a distanza di anni, l’intervento si inserisca armonicamente nel contesto urbano e se la sua rimozione produrrebbe un effettivo beneficio per il bene tutelato.

In altre parole: la tutela dei beni culturali è un valore costituzionale, ma non può essere esercitata con automatismi o formule vaghe. Ogni caso va analizzato nel dettaglio, spiegando perché un intervento è considerato dannoso o, al contrario, compatibile.

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La violazione del giudicato

Uno degli aspetti più rilevanti della sentenza del TAR Lazio è il riconoscimento di una palese violazione del giudicato, un concetto fondamentale nel diritto amministrativo. Quando un tribunale annulla un atto amministrativo per difetto di motivazione, come accaduto nel 2007, l’amministrazione è tenuta non solo a riprendere il procedimento, ma a conformarsi pienamente a quanto stabilito dal giudice.

Nel caso esaminato, il TAR aveva chiaramente imposto al Ministero della Cultura di riformulare il parere, correggendo tutte le carenze riscontrate, in particolare quelle relative alla mancata dimostrazione dell’esistenza di un vincolo culturale sul piano dell’immobile interessato. Il nuovo parere, invece, è stato redatto come se quelle indicazioni non fossero mai esistite: nessuna istruttoria sul vincolo, nessuna analisi specifica sulla proporzionalità delle demolizioni richieste, nessun approfondimento rispetto all’inserimento dell’opera nel contesto attuale.

Per il TAR, questo comportamento equivale a un aggiramento delle sentenze precedenti: non basta cambiare qualche parola per dare esecuzione a un giudicato, bisogna entrare nel merito delle questioni evidenziate dal giudice e motivare ogni scelta con rigore. Da qui la decisione di dichiarare nullo il nuovo parere della Soprintendenza, proprio perché in contrasto con le due precedenti sentenze (del 2007 e del 2018), che avevano fissato precisi obblighi istruttori e motivazionali.

Non solo: il Tribunale ha anche nominato un Commissario ad acta, cioè un funzionario esterno che potrà sostituirsi all’Amministrazione in caso di ulteriore inadempienza. Un provvedimento che viene adottato solo nei casi più gravi, quando il giudice ritiene che l’Amministrazione stia ostacolando l’esecuzione delle proprie decisioni.

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Le conseguenze pratiche per cittadini e tecnici

La sentenza del TAR Lazio non è solo un episodio isolato in un contenzioso decennale: rappresenta un precedente importante che rafforza i diritti di cittadini, professionisti e tecnici nei confronti della Pubblica Amministrazione, soprattutto quando si tratta di interventi edilizi in edifici vincolati.

In primo luogo, il provvedimento chiarisce che anche le autorità preposte alla tutela del patrimonio culturale devono rispettare le regole procedurali. Un parere negativo non può limitarsi a espressioni generiche o a formule stereotipate: deve essere costruito su dati tecnici precisi, su una valutazione aggiornata del contesto e su un’istruttoria completa.

Per i cittadini, questo significa avere il diritto – e spesso anche il dovere – di impugnare i pareri e i dinieghi che non siano adeguatamente motivati. Troppo spesso, infatti, si accetta passivamente un “no” dell’Amministrazione solo perché proviene da un’autorità di tutela. La sentenza dimostra che il controllo giurisdizionale può e deve intervenire quando i poteri pubblici non rispettano la legalità.

Per i tecnici e i progettisti, invece, è un invito a pretendere chiarezza nei procedimenti, documentare in modo accurato ogni fase della pratica edilizia e soprattutto a vigilare sull’effettiva presenza di vincoli, che non sempre sono applicabili a tutto l’edificio o a tutti i piani. Nel caso in esame, ad esempio, il TAR ha evidenziato che il vincolo originario potrebbe non estendersi al piano oggetto dell’intervento, il che avrebbe potuto cambiare radicalmente l’esito del procedimento.

Infine, è importante ricordare che la valutazione della compatibilità paesaggistica e culturale di un’opera non può essere retrospettiva, cioè basata unicamente su criteri del passato. L’Amministrazione ha l’obbligo di considerare la situazione attuale, il tempo trascorso, l’effettivo impatto dell’opera e, se del caso, proporre modifiche proporzionate, evitando richieste demolitorie drastiche e ingiustificate.



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TAGS: beni culturali, commissario ad acta, condono edilizio, giudicato amministrativo, motivazione atto amministrativo, sanatoria edilizia, sentenza TAR, soppalco abusivo, Soprintendenza, vincolo architettonico

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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