Il 2026 segna un punto di svolta per il sistema catastale italiano. Con l’approvazione del Documento Programmatico di Bilancio (DPB), il Governo ha inserito nuove misure volte ad aggiornare i valori catastali degli immobili che hanno beneficiato, dal 2019 in poi, di interventi di ristrutturazione finanziati in tutto o in parte con fondi pubblici. Una riforma attesa da tempo, che punta a rendere più coerente il valore registrato al catasto con le reali condizioni dell’immobile, specialmente dopo migliorie energetiche o strutturali.

Questa nuova disciplina rappresenta un passo avanti verso una maggiore equità fiscale, ma pone anche interrogativi concreti per cittadini, tecnici e imprese: come cambieranno i valori catastali? Quali saranno le modalità di aggiornamento?

E soprattutto, quali effetti avrà tutto questo su IMU, TARI e altre imposte locali?

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Aggiornamento obbligatorio dei valori catastali post-intervento

Nel Documento Programmatico di Bilancio 2026, il Governo ha inserito un passaggio chiave destinato a incidere profondamente sulla fiscalità immobiliare: l’allineamento dei valori catastali degli edifici sottoposti a interventi di efficientamento energetico e miglioramento strutturale, qualora questi siano stati realizzati a partire dal 2019 con fondi pubblici. Secondo il testo, l’Agenzia delle Entrate invierà lettere di compliance ai proprietari degli immobili attualmente iscritti in catasto ma privi di rendita aggiornata, invitandoli ad adeguare la propria posizione.

L’obiettivo dichiarato è quello di colmare il divario tra valore reale e rendita catastale, soprattutto nel caso in cui l’immobile abbia subito interventi che ne aumentano significativamente il valore di mercato o l’efficienza energetica. Le modifiche catastali, in questo contesto, non saranno facoltative: si tratta di una spinta verso l’aggiornamento obbligatorio, con ricadute fiscali potenzialmente rilevanti per chi ha beneficiato di bonus edilizi o ha effettuato interventi con fondi del PNRR.

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Quali impatti fiscali per cittadini e imprese?

L’aggiornamento dei valori catastali post-ristrutturazione avrà effetti diretti sulla tassazione degli immobili. La rendita catastale rappresenta infatti la base imponibile per imposte come IMU, TARI e addizionali comunali, ma può anche incidere su agevolazioni fiscali, calcolo dell’ISEE e canoni concordati. Un incremento della rendita, conseguente a interventi che hanno migliorato l’efficienza energetica o la stabilità strutturale dell’edificio, potrebbe quindi tradursi in un aumento del carico fiscale, soprattutto nei Comuni che applicano aliquote elevate.

Dal punto di vista delle imprese edilizie e degli investitori, invece, la misura ha implicazioni di trasparenza: un immobile ristrutturato e correttamente aggiornato in catasto può risultare più credibile e valorizzato sul mercato, specie nei contesti urbani e turistici.

Tuttavia, resta aperto il tema delle tempistiche e dei costi dell’aggiornamento, che saranno a carico del contribuente, salvo ulteriori chiarimenti normativi.

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Aggiornamento catastale: cosa dovranno fare i proprietari

L’adeguamento dei dati catastali non sarà automatico. Come previsto dal DPB 2026, sarà l’Agenzia delle Entrate a contattare i proprietari degli immobili interessati tramite lettere di compliance. In queste comunicazioni saranno indicati i dati dell’immobile, la presenza di lavori rilevanti finanziati con fondi pubblici (come Superbonus, Ecobonus, PNRR) e l’invito a regolarizzare la rendita catastale entro termini precisi.

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I proprietari dovranno quindi rivolgersi a un tecnico abilitato (geometra, architetto o ingegnere) per predisporre la nuova dichiarazione di aggiornamento catastale DOCFA, da trasmettere all’Agenzia del Territorio. Il costo della procedura sarà a carico del contribuente, e il mancato aggiornamento potrebbe portare a sanzioni e accertamenti da parte dell’amministrazione finanziaria, oltre che alla perdita di eventuali benefici fiscali legati alla prima casa o all’ISEE.