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Casa con abusi edilizi? ecco quando Condono edilizio e Salva Casa non si possono applicare

Il TAR conferma la demolizione per abusi edilizi non sanabili, respingendo la difesa del proprietario e chiarendo le conseguenze legali in caso di inottemperanza, anche su immobili ereditati.

Casa con abusi edilizi? ecco quando Condono edilizio e Salva Casa non si possono applicare Casa con abusi edilizi? ecco quando Condono edilizio e Salva Casa non si possono applicare
Ultimo Aggiornamento:

In Italia il fenomeno dell’abusivismo edilizio rappresenta una sfida costante per le amministrazioni comunali, chiamate a tutelare il territorio e far rispettare le regole urbanistiche. In questo contesto, le ordinanze di demolizione costituiscono uno degli strumenti più incisivi — e controversi — a disposizione della Pubblica Amministrazione per ripristinare la legalità edilizia.

Ma quando un Comune intima la rimozione di opere ritenute abusive, il cittadino ha davvero possibilità di difesa? E cosa succede se quelle opere esistono da anni o sono state ereditate?

Una recente sentenza del TAR Lazio offre spunti molto interessanti per capire come si bilanciano, nella pratica, gli interessi pubblici e i diritti del privato, e quali siano i margini di azione per chi riceve un provvedimento demolitorio.

Ma è sempre tutto così chiaro? E soprattutto: esistono casi in cui la demolizione può essere evitata?

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Il caso: l’ordinanza del comune e le opere contestate

Tutto nasce da un accertamento edilizio svolto da tecnici comunali in un’area residenziale del territorio laziale. A seguito del sopralluogo, l’amministrazione ha notificato al proprietario dell’immobile un’ordinanza con cui imponeva la demolizione di numerose opere realizzate senza i necessari titoli abilitativi.

Il provvedimento, redatto in modo dettagliato, elencava otto interventi abusivi, ciascuno descritto con precisione quanto a dimensioni, materiali, destinazione d’uso e distanza dai confini.

Tra le opere contestate figuravano manufatti adibiti a magazzini e spogliatoi, tettoie con coperture in legno e tegole, due gazebo (uno dei quali dotato di struttura atta a contenere una vasca idromassaggio), un forno-barbecue in muratura, una piscina interrata e persino difformità interne di tipo strutturale. Secondo l’ente locale, si trattava di interventi non riconducibili a semplici sistemazioni esterne o pertinenze precarie, ma di vere e proprie costruzioni stabili, dotate di volumetria e impatto urbanistico.

Il Comune ha quindi ordinato la demolizione a spese del proprietario, avvertendo che in caso di inottemperanza sarebbe scattata l’acquisizione gratuita dell’area al patrimonio comunale, ai sensi dell’articolo 31 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001).

Leggi anche: Gazebo e edilizia libera: quando serve la SCIA? attenzione alle sanzioni

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Le contestazioni del proprietario: tra abusi ereditati e Decreto Salva Casa

Di fronte all’ordine di demolizione, il proprietario dell’immobile ha deciso di impugnare l’ordinanza davanti al Tribunale Amministrativo Regionale, sostenendo l’illegittimità del provvedimento comunale per diverse ragioni. In primo luogo, ha contestato la presunta genericità dell’atto, ritenendo le descrizioni delle opere insufficientemente dettagliate per consentire una reale difesa.

Ha inoltre sottolineato l’assenza di vincoli paesaggistici o ambientali sull’area, e sostenuto che molte delle opere rientrassero nella categoria di interventi minori o pertinenze, esonerati dall’obbligo di autorizzazione.

Un punto centrale della sua difesa è stato il riferimento alla recente normativa introdotta con la legge n. 105/2024, il cosiddetto “Decreto Salva Casa”, invocata come norma sopravvenuta che avrebbe potuto sanare le opere in questione. Il ricorrente ha chiesto quindi un rinvio del giudizio, in attesa dei regolamenti attuativi regionali che avrebbero reso operativa la nuova disciplina.

In aggiunta, ha sostenuto che gli abusi non fossero stati realizzati da lui, ma ereditati in seguito all’acquisto dell’immobile da precedenti proprietari, sottolineando così la propria buona fede e invocando una valutazione più equilibrata da parte dell’autorità amministrativa.

Leggi anche: Decreto Salva Casa: la guida completa, ecco cosa puoi sanare

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La decisione del TAR Lazio: demolizione confermata

Il Tribunale Amministrativo ha respinto integralmente il ricorso, ritenendo l’ordinanza comunale pienamente legittima sia dal punto di vista sostanziale che procedurale. I giudici hanno evidenziato come le opere contestate fossero descritte in modo preciso e dettagliato, con indicazioni su materiali, dimensioni e localizzazione, escludendo quindi qualsiasi profilo di genericità. Anche la procedura seguita dal Comune è stata ritenuta corretta, essendo stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento e dalla possibilità per il privato di far valere le proprie ragioni.

Sul piano giuridico, il TAR ha sottolineato che, in presenza di opere abusive, l’ingiunzione alla demolizione costituisce un atto dovuto, che non richiede alcuna valutazione discrezionale di interesse pubblico. È sufficiente l’accertamento dell’abuso edilizio perché la demolizione diventi obbligatoria.

Riguardo al Decreto Salva Casa, il tribunale ha dichiarato la norma inapplicabile al caso concreto, in quanto nel Lazio non erano ancora stati adottati i regolamenti attuativi necessari alla sua efficacia. Inoltre, ha escluso che tale normativa potesse avere effetto retroattivo su procedimenti già in corso.

Leggi anche: Permesso di costruire obbligatorio: la SCIA non salva l’abuso edilizio grave

Infine, i giudici hanno chiarito che la provenienza degli abusi da proprietari precedenti non esonera l’attuale titolare dell’immobile dai propri obblighi, in quanto l’art. 31 del Testo Unico Edilizia impone al proprietario attuale l’onere di ripristino, indipendentemente da chi abbia materialmente realizzato le opere.

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Cosa succede se non si demolisce? le conseguenze dell’inottemperanza

Quando un’ordinanza di demolizione diventa definitiva, il proprietario ha un termine — solitamente 90 giorni — per procedere volontariamente alla rimozione delle opere abusive e al ripristino dello stato dei luoghi. Se questo non avviene, scatta automaticamente una delle sanzioni più drastiche previste dalla normativa edilizia: l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area interessata, comprese tutte le costruzioni — lecite o illecite — che vi insistono.

Secondo l’art. 31 del DPR 380/2001, l’amministrazione non ha bisogno di un’ulteriore autorizzazione o di ricorrere al giudice: è sufficiente l’inottemperanza per far scattare il procedimento di acquisizione. E non è tutto: la legge prevede che il bene venga acquisito con un ampliamento minimo di 10 metri oltre il perimetro dell’abuso, proprio per garantire al Comune la possibilità di riutilizzare concretamente l’area.

Questo meccanismo ha due effetti principali:

  • Punitivo, in quanto priva il privato del diritto di proprietà sull’area e sulle opere realizzate;
  • Preventivo, perché scoraggia altri cittadini dal realizzare abusi confidando in una futura sanatoria.

Non è rilevante che le opere siano state realizzate in buona fede o da precedenti proprietari: l’attuale titolare del bene è sempre responsabile, salvo che riesca a dimostrare la totale estraneità ai fatti, circostanza molto difficile in sede amministrativa.

Inoltre, una volta avviata la procedura di acquisizione, non è più possibile chiedere il condono o la sanatoria, e il Comune può procedere d’ufficio alla demolizione delle opere a spese del proprietario, oltre a richiedere il pagamento di eventuali sanzioni pecuniarie accessorie.



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Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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