Modificare finestre o prospetti senza permesso può configurare un abuso edilizio, specie in aree vincolate. Il TAR conferma l’obbligo del titolo anche per interventi apparentemente minori.
Sembra una modifica minima: alzare una finestra, spostarla di qualche centimetro, magari allargare l’apertura per far entrare più luce. Eppure, nel mondo dell’urbanistica, anche questi interventi possono trasformarsi in veri e propri abusi edilizi. Lo ha confermato il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con una sentenza del 2024 che ha ribadito un principio chiave: modificare l’aspetto esterno di un edificio, anche solo con l’intervento su porte e finestre, può rientrare a pieno titolo tra le ristrutturazioni edilizie soggette a permesso di costruire.
Quando un intervento apparentemente secondario diventa rilevante dal punto di vista edilizio? Quando si può parlare di semplice manutenzione straordinaria e quando, invece, si configura una trasformazione dell’edificio?
E cosa rischia chi esegue modifiche senza titolo abilitativo?
Sommario
Nel caso esaminato dal TAR Campania, uno degli aspetti centrali riguardava la modifica di alcune finestre posizionate sul prospetto principale di un’abitazione. In particolare, si contestava l’ampliamento e la traslazione verso l’alto dei vani finestra posti sopra le porte di accesso, oltre alla chiusura di un’altra finestra sul lato opposto dell’edificio.
Interventi che, secondo la parte ricorrente, erano da considerarsi minori e rientranti nel concetto di “manutenzione straordinaria”.
La linea seguita dal Comune – poi accolta integralmente dal TAR – è però molto più restrittiva. Secondo la giurisprudenza consolidata, ogni intervento che incida sul prospetto esterno di un fabbricato, anche se limitato ad aperture già esistenti, non è assimilabile a semplice manutenzione, ma rientra nella categoria della ristrutturazione edilizia.
E la ristrutturazione, come chiarito dall’art. 10 del D.P.R. 380/2001, richiede il rilascio di un permesso di costruire.
Modificare un prospetto significa, infatti, incidere sull’estetica e sulla percezione volumetrica dell’edificio, elementi che l’ordinamento tutela non solo per ragioni estetiche, ma anche per motivi urbanistici e paesaggistici, specialmente se l’immobile si trova in area vincolata. L’apertura, lo spostamento o l’ampliamento delle finestre, quindi, non è mai un’operazione neutra: può alterare l’equilibrio dell’intero organismo edilizio, con impatti anche su aspetti come la ventilazione, l’illuminazione e il carico urbanistico.
Il TAR, con la sentenza n. 4303/2024 ha quindi chiarito che non è possibile “spezzettare” gli interventi per sostenerne la scarsa rilevanza: ogni modifica va valutata nel contesto dell’insieme e, nel caso specifico, è stata interpretata come parte di un progetto unitario, privo di titolo edilizio e perciò illegittimo.
Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti principali portati dalla proprietaria a sua difesa era la convinzione che le opere realizzate rientrassero nella manutenzione straordinaria, una categoria che, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b) del D.P.R. 380/2001, comprende “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, purché non alterino i volumi, le superfici o le destinazioni d’uso”.
Tuttavia, secondo il TAR, questa tesi non regge se le opere in questione – come nel caso della modifica dei prospetti tramite finestre – alterano l’aspetto esteriore dell’edificio o ne influenzano la destinazione funzionale. Infatti, per la giurisprudenza prevalente, anche solo lo spostamento di una finestra o la chiusura di un’apertura può essere sufficiente a configurare un intervento di ristrutturazione edilizia se incide sulla “trasformazione dell’organismo edilizio” nel suo insieme.
La Corte ha inoltre richiamato un principio fondamentale: non basta che l’intervento non aumenti volumetrie o superfici, se esso modifica l’aspetto, la sagoma o la funzionalità dell’edificio. In questi casi, il permesso di costruire è sempre necessario. Ed è irrilevante che le opere siano di piccola entità materiale: quello che conta è l’impatto urbanistico e il mutamento visibile del fabbricato.
In altre parole, la linea tra ciò che è “straordinaria manutenzione” e ciò che è “ristrutturazione” può essere molto sottile, ma ha conseguenze enormi in termini di obblighi autorizzativi. Ed è su questa linea che spesso si giocano i ricorsi come quello esaminato.
Advertisement - PubblicitàUn ulteriore elemento che ha rafforzato la posizione del Comune – e che il TAR ha ritenuto decisivo – è il fatto che l’immobile si trovi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. In questi contesti, ogni intervento edilizio assume un peso maggiore, anche quelli che in un’altra area potrebbero essere considerati minori.
Infatti, secondo l’art. 27 del D.P.R. 380/2001, quando le opere vengono realizzate in aree vincolate, la demolizione è sempre dovuta in presenza di costruzioni senza titolo, indipendentemente dalla loro classificazione urbanistica (manutenzione, ristrutturazione, nuova costruzione). È un principio ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa, che si basa sulla necessità di tutelare l’integrità e il decoro del paesaggio, anche di fronte a interventi apparentemente modesti come lo spostamento di una finestra o la chiusura di un’apertura.
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Il TAR ha quindi ribadito che, in presenza di vincoli paesaggistici, non conta se un intervento avrebbe potuto rientrare in un regime autorizzativo semplificato. Se manca il titolo abilitativo – e, nei casi più delicati, anche l’autorizzazione paesaggistica – la sanzione è inevitabilmente la demolizione.
Nessun affidamento può essere tutelato in una situazione di abuso edilizio, e nemmeno il tempo trascorso rende sanabile un’opera realizzata senza i necessari permessi.
Advertisement - PubblicitàUno degli ultimi tentativi della ricorrente è stato quello di smontare le accuse contestando ogni singolo intervento – dalle finestre alla pavimentazione – cercando di dimostrare che si trattava di modifiche modeste, non idonee a giustificare una demolizione. Il TAR, però, ha respinto con decisione questa linea difensiva, riaffermando un principio cardine del diritto urbanistico: l’abuso edilizio non si giudica “a pezzi”, ma nella sua globalità.
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Ogni opera, anche se di piccole dimensioni, può assumere rilievo urbanistico se inserita in un disegno unitario che modifica l’immobile in modo sostanziale. Soprattutto se le trasformazioni incidono su volumetrie, prospetti e destinazioni d’uso, come avvenuto in questo caso.
La giurisprudenza è chiara: non è possibile “spacchettare” un intervento complesso per tentare di ridurne la gravità. Anche la somma di più modifiche minori può configurare una trasformazione edilizia complessiva, soggetta a permesso di costruire.
Per il giudice amministrativo, quindi, non conta tanto la dichiarazione d’intenti del proprietario o la natura isolata delle opere, ma il risultato finale sull’immobile. E in questo caso, il risultato è stato chiaro: un edificio modificato senza autorizzazione, in un’area vincolata, con interventi strutturali che andavano ben oltre la semplice manutenzione.
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