In Italia, l’installazione di un ascensore in un condominio può sembrare una semplice miglioria funzionale, soprattutto se finalizzata al superamento delle barriere architettoniche. Tuttavia, come spesso accade nel nostro Paese, anche un intervento apparentemente banale può trasformarsi in una complessa battaglia giuridica.

È il caso affrontato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3925 del 2025, riguardante la realizzazione di un ascensore a uso esclusivo in un contesto condominiale. L’opera era stata avviata sulla base di una SCIA edilizia, ma il Comune ha ordinato la sospensione dei lavori per presunte carenze documentali e violazioni normative. Da lì è partito un lungo iter tra TAR e Consiglio di Stato, toccando temi cruciali: la validità della documentazione, il ruolo della normativa regionale, la tutela del paesaggio e i diritti dei condomini.

Che cosa si può imparare da questo caso? Quando è davvero valida una SCIA? Quali documenti sono indispensabili per iniziare dei lavori senza incorrere in un blocco?

E fino a che punto i Comuni possono opporsi?

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La SCIA e i suoi limiti: cosa prevede la normativa

Il cuore della vicenda ruota attorno alla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), uno strumento nato per semplificare i procedimenti edilizi, consentendo ai cittadini di iniziare i lavori senza dover attendere un’autorizzazione formale, purché rispettino tutte le normative vigenti. Tuttavia, questa semplificazione non significa assenza di controlli.

Nel caso esaminato, l’intervento prevedeva la costruzione di un ascensore esterno destinato esclusivamente a un’unità abitativa situata ai piani alti di un edificio condominiale. Il progetto era stato avviato con una SCIA, ma il Comune ha successivamente vietato la prosecuzione dei lavori per una lunga serie di motivazioni, molte delle quali legate alla mancanza di elaborati progettuali completi, assenza di pareri paesaggistici e dichiarazioni contrastanti sullo stato vincolistico dell’immobile.

Secondo la normativa regionale dell’Emilia-Romagna (L.R. n. 15/2013), prima di poter ritenere efficace una SCIA, è necessario un periodo di cinque giorni lavorativi destinato alla verifica della completezza documentale. Solo dopo tale verifica può iniziare il decorso dei 30 giorni durante i quali l’amministrazione può intervenire con eventuali provvedimenti inibitori.

Ed è proprio su questo punto che si è aperto uno dei principali fronti del contenzioso: il privato riteneva il divieto tardivo, mentre il Comune sosteneva che la SCIA non fosse mai divenuta efficace per carenze gravi nella documentazione.

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Le contestazioni tecniche e paesaggistiche: documentazione carente e vincoli ignorati

Il Comune ha fondato il proprio divieto su una motivazione articolata in ben nove punti, che rivelano quanto il progetto presentato fosse ritenuto inadeguato sotto più profili. In particolare, l’amministrazione ha evidenziato la mancanza di elaborati tecnici sufficientemente dettagliati: la tavola progettuale presentata non riportava misure, quote, distanze, né i materiali da impiegare. Inoltre, mancavano prospetti e sezioni complete, fondamentali per comprendere l’impatto dell’intervento sull’edificio e sul contesto urbano.

Un altro nodo cruciale è emerso dal valore storico-architettonico dell’immobile: sebbene nella SCIA si dichiarasse che l’edificio non fosse sottoposto a vincoli, il regolamento urbanistico comunale indicava il contrario. Questo ha fatto scattare l’obbligo di acquisire il parere della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, che non è stato richiesto né ottenuto. Anche il rendering, richiesto esplicitamente dall’ente per valutare l’impatto visivo dell’ascensore, non è mai stato presentato.

Tutti questi elementi hanno portato il Comune a ritenere la SCIA non idonea a generare alcun effetto abilitativo, poiché l’intervento non era identificabile in modo preciso e, di conseguenza, non controllabile. Questo ha reso legittimo il divieto di prosecuzione dei lavori, anche a distanza di tempo, impedendo la formazione del silenzio-assenso.

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Diritti condominiali e delibere: l’importanza del consenso dei condomini

Oltre agli aspetti tecnici e paesaggistici, il caso ha sollevato un tema delicato e spesso sottovalutato: il ruolo delle delibere condominiali. Infatti, nel provvedimento comunale si richiedeva una dichiarazione da parte dell’amministratore che attestasse la validità della decisione assembleare con cui era stato approvato l’ascensore.

Questo perché alcune condomine avevano segnalato che l’intervento non era mai stato approvato dall’assemblea, né discusso in modo formale.

Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità della richiesta del Comune, sottolineando che l’assenso condominiale costituisce un presupposto essenziale per la realizzazione di opere che incidono sulle parti comuni. Non basta quindi una semplice dichiarazione di parte o un atto datato: è necessario che la decisione sia attuale, valida e non superata da successive deliberazioni.

Il Comune, in questo senso, ha agito correttamente chiedendo un’integrazione documentale e precisando che, in assenza di tale verifica, non poteva ritenersi conforme l’attività edilizia segnalata. La tutela del contraddittorio tra condomini e il rispetto delle regole interne al condominio sono elementi imprescindibili, soprattutto quando l’intervento riguarda l’esterno dell’edificio e ha impatti diretti anche su altri proprietari.

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il giudizio finale del consiglio di stato: scia inefficace e appello infondato

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3925/2025, ha respinto l’appello presentato dalla proprietaria dell’immobile, ritenendo infondati tutti i motivi di ricorso, sia di merito che di legittimità costituzionale. Il punto centrale della decisione è stata la constatazione che la SCIA presentata non poteva produrre effetti abilitativi, poiché mancava della documentazione minima necessaria a rendere l’intervento chiaramente identificabile.

Senza elaborati grafici completi e coerenti, non è possibile per l’amministrazione effettuare i controlli previsti dalla legge. Di conseguenza, non si può nemmeno parlare di formazione del silenzio-assenso, poiché non esistono i presupposti tecnici e giuridici per far decorrere validamente i termini. Inoltre, la normativa regionale che prevede un differimento di cinque giorni lavorativi per la verifica documentale è stata ritenuta legittima: non si tratta di un aggravio procedurale, ma di una tutela per il privato e per la pubblica amministrazione, che in questo modo può garantire che ciò che viene presentato sia effettivamente una SCIA valida.

Anche le contestazioni sulla richiesta di integrazione documentale dopo i trenta giorni dalla presentazione sono state ritenute inconsistenti: se la SCIA è carente fin dall’origine, qualsiasi termine risulta sospeso o non ancora iniziato, proprio per l’impossibilità di valutare l’intervento in modo completo.

In sintesi, il Consiglio di Stato ha confermato che senza progetto chiaro, pareri obbligatori e validi consensi condominiali, non si può pretendere di procedere con un’opera edilizia, anche se presentata tramite SCIA.